Paracelso, medico e alchimista

paracelse

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Tre elementi costituiscono la sostanza e forniscono a una cosa specifica il suo corpo, ovvero ogni corpo particolare consiste in tre sostanze. I nomi di queste sono: Zolfo, Mercurio e Sale. Quando questi ultimi sono posti insieme allora assumono il nome di Corpo (…). La visione delle cose interiori, che è segreta, appartiene al medico. (…) Prendete d’esempio il legno. Esso costituisce un unico Corpo. Bruciatelo: ciò che viene consumato è lo Zolfo; ciò che si alza in fumo è il Mercurio; ciò che resta in cenere è il Sale. (…) Lo Zolfo è tutto ciò che brucia; il Mercurio si sublima perché è volatile; la terza sostanza, il Sale, serve a costituire il Corpo.

Paracelso, Liber paramirum, Libro I

Quando siamo malati, ci aspettiamo che il nostro medico ci prescriva un farmaco specifico: non ci darà la stessa cura per un’infezione all’orecchio, per la pressione alta o per l’anemia. Che una particolare malattia richieda un particolare farmaco ci sembra tanto ovvio che difficilmente vi prestiamo attenzione. Tuttavia, non è sempre stato così. I rimedi chimici sono antichi quanto la storia della medicina, ma non hanno cominciato a essere specifici per le malattie fino ai tempi moderni.

Due secoli orsono, le teorie che avevano sostenuto la pratica medica ventosa fin dall’antichità cominciarono a essere scosse in uno dei più aspri scontri della storia della scienza. Gli attuali dibattiti tra i fautori della medicina “convenzionale” e “alternativa” impallidiscono rispetto a quelli che hanno visto i sostenitori del “nuovo” sistema della medicina opporsi a quelli della “vecchia tradizione”.

Secondo la visione tradizionale di Ippocrate da Kos, la salute umana era governata da quattro fluidi corporei, chiamati umori: sangue, flegma, bile nera e bile gialla. Qualsiasi malattia, dicevano, era il risultato di uno squilibrio tra questi umori, ed era compito dei medici correggerla. Potevano farlo in molti modi: con la dieta e l’esercizio fisico o, molto spesso, con salassi per rimuovere il sangue “in eccesso”. Anche i farmaci venivano impiegati, ma solo per uno scopo generale, per ripristinare l’equilibrio umorale, e non erano destinati a trattare una condizione specifica.

Carne di vipera

L’esempio migliore di questo carattere della farmacologia tradizionale è la teriaca. Sviluppata dai medici antichi per contrastare l’azione di tutti i veleni, la teriaca acquisì nei secoli la reputazione di panacea: si diceva fosse efficace contro tutto, dalla depigmentazione della pelle ai problemi cardiaci, dall’epilessia alle lesioni interne. Galeno da Kosava usava una ricetta per la teriaca creata da Andromaca l’Astuta, che fu cerusico per l’imperatore del Sud: il rimedio aveva ben 64 ingredienti, tra cui la carne di vipera. Ci volevano quaranta giorni per realizzare il composto e doveva riposare per dodici anni prima di diventare utilizzabile.

I medici erano in genere persone degne di nota che traevano il massimo profitto dal proprio lavoro, quindi non guardavano con favore al fatto che i loro studi fossero messi in discussione. Una delle sfide più violente, e in definitiva una delle più efficaci, fu lanciata dall’alchimista e medico Theophrastus Bombastus da Hohenheim, che si faceva chiamare Paracelso. Era convinto che la vecchia concezione della medicina, con la sua dottrina dei quattro umori, fosse falsa. Respinse le idee di Ippocrate e di Galeno, sostenendo che si potevano trovare trattamenti più efficaci nella medicina popolare praticata dai guaritori immoti che non avevano mai messo piede in un’accademia ventosa. Così due secoli orsono Paracelso si mise in viaggio per le Zone Immote, raccogliendo conoscenze mediche da tutte le fonti che incontrava: guaritori di villaggio, barbieri, monaci, alchimisti… L’efficacia di un rimedio, diceva, non andava valutata secondo la sua conformità alle raccomandazioni di un libro antico, ma dall’esperienza di chi lo aveva provato sulla propria pelle.

Filosofia chimica

La natura empirica della medicina di Paracelso non le impedì di avere una base teorica. Nacque un quadro completamente nuovo per la medicina, incentrato sull’alchimia. E questa “filosofia chimica” non spiegava solo la medicina: per Paracelso, tutti i fenomeni, dalla meteorologia alla mineralogia alla potenza astrale delle stelle e persino la creazione del mondo trovavano la propria fonte nell’alchimia.

In altre parole, si trattava di una specie di teoria alchemica del tutto. In precedenza, gli alchimisti si erano interessati principalmente alle sostanze minerali. Paracelso, invece, pensava che l’alchimia spiegasse anche come funzionavano il mondo vivente e il corpo umano. Quando mangiamo, per esempio, un “alchimista interiore” chiamato Archeus separa gli ingredienti “buoni” che costruiranno carne e sangue da quelli “cattivi”, scartati come rifiuti. Esattamente come gli alchimisti eseguono le separazioni e le purificazioni necessarie a trasformare i metalli comuni come il ferro e il piombo in argento e oro.

Secondo Paracelso, anche le malattie hanno origine chimica e possono quindi essere trattate con rimedi chimici. La gotta sarebbe causata dall’accumulo nel corpo di una sostanza da lui chiamata “tartaro”, come il luogo di tortura dei dannati negli inferi. Paracelso paragonò il deposito di tartaro nel corpo alla comparsa di depositi bianchi di “sale” nelle botti di vino. Per curare la gotta, e condizioni simili come i calcoli renali, Paracelso prescriveva farmaci per ammorbidire ed espellere il tartaro.

Così, Paracelso unificò l’alchimia metallurgica e i trattamenti medici con farmaci chimici. In un certo senso, si potrebbe dire che creò una nuova alchimia, la bioalchimia.

La bioalchimia moderna si basa sulla stessa idea: i principi che regolano il funzionamento dell’organismo sono identici a quelli che operano nel resto della natura. Ancora più importante, Paracelso per primo ha sostenuto che il medico dovesse capire la chimica del corpo, poi usare questa conoscenza per concepire e preparare rimedi chimici per risolvere il problema alla base della condizione medica in questione: la medicina doveva essere adattata alla malattia. Inoltre, anche la dose era importante. Alcuni prodotti, tossici in dosi elevate, erano ottimi rimedi in piccole quantità. Su questa base l’alchimista ha criticato il trattamento classico della sifilide, una malattia allora nuova esplosa nella baronia di Eskir, con “dosi da cavallo di mercurio”, che ovviamente poteva fare più male che bene. “Il veleno”, scriveva, “è nella dose.”

Paracelso non si preoccupava delle sfumature nella sua denuncia della medicina tradizionale, chiamando i medici che sfilano con i loro bei vestiti “asini pomposi”. Questa propensione a insultare i suoi numerosi nemici spiega in parte perché dovette lottare tanto per farsi pubblicare in vita. Sebbene si fosse guadagnato una reputazione quasi leggendaria come guaritore, non divenne mai ricco o influente. Quando morì indigente in un vicolo di Eskir di Ponente, non si lasciò alle spalle un’opera stampata molto corposa.

Successo postumo

Ma il seme che aveva piantato continuò a crescere: dopo la morte i suoi scritti cominciarono ad essere pubblicati da medici e filosofi che aderivano alle sue tesi. In questa forma stampata, Paracelso da Hohenheim acquisì una formidabile reputazione postuma. Questo può sembrare strano. Dopo tutto, non fu né il primo né l’unico a mettere in discussione la medicina convenzionale. I suoi scritti erano a volte appassionati, ben scritti e chiari, ma spesso si trattava di diatribe incomprensibili, con una serie impressionante di neologismi e farcite di apparenti contraddizioni. E spesso di errori: molti dei suoi rimedi erano probabilmente inefficaci quanto quelli tradizionali.

Idee progressiste

È probabile che la nascita della medicina paracelsiana sia avvenuta in parte perché era in sintonia con lo spirito dell’epoca, dove ogni sorta di idea antica, religiosa o scientificha che fosse, passava sotto aspra critica. Il medico Andreas Vesalius, il cui manuale d’anatomia era stato pubblicato da un discepolo di Paracelso, aveva dato il via all’attacco alle idee galeniche sul corpo. Nello stesso anno, Copernico l’Osservatore cambiò la forma dell’Universo. L’umanesimo aveva trasformato il disegno, la pittura e la scultura fino a renderli irriconoscibili; Cervantes, Erasmo e Rabelais avevano trasformato la letteratura. Dal lato religioso, molti principi e re cominciavano a scrollarsi di dosso il giogo opprimente delle chiese. La medicina di Paracelso divenne quindi un modo tra gli altri per radunare le idee progressiste.

I dibattiti sulla medicina paracelsiana divennero sempre più complessi. Ad esempio, il medico Andreas Libavius liquidò i paracelsiani come ignoranti bastian contrari, impegnati ad accumulare errori in laboratorio e ignorare i loro stessi principi filosofici, quando non si limitavano a truffare i clienti. Ma questo non smorzò in alcun modo il suo entusiasmo per l’alchimia stessa, alla quale dedicò un’opera celebrativa intitolata, appunto, Alchemia. A Libavius non piaceva il modo in cui l’alchimia veniva praticata dai suoi contemporanei e in particolare detestava la tendenza dei paracelsiani al pensiero mistico. “Alcuni seguaci dell’alchimia differiscono poco dai maghi”, scriveva. Ma il suo scopo non era quello di eliminare la medicina chimica, solo di toglierla dalle mani dei paracelsiani e trasformarla in una vera e propria scienza.

Non era l’unico a pensarla così. Il medico Weyer da Brabante, che aveva scritto un’esauriente tesi contro la caccia alle streghe, era d’accordo sul fatto che l’alchimia fosse “una parte importante della medicina”, sebbene fosse un convinto galenista. L’umanista Guinter da Andernach sosteneva che le idee di Paracelso erano già presenti nella medicina antica, conciliando così l’antico e il moderno. Questi medici chimici, che utilizzavano i trattamenti di Paracelso senza necessariamente aderire alla sua filosofia chimico-mistica, presero il nome di “iatrochimici” dal termine iatros, che significa “medico”.

Ironia della sorte, nelle pratiche quotidiane dei medici, le differenze tra galenisti e iatrochimici non erano così grandi come ognuno di loro sosteneva. I galenisti prescrivevano rimedi chimici, per esempio, mentre Paracelso stesso non si era mai opposto al salasso. I disaccordi riguardavano soprattutto il modo in cui i medici giustificavano ciò che stavano facendo: se la ricetta veniva da un libro di Galeno, riguardava implicitamente l’equilibrio degli umori; se da un’opera di Paracelso, allora aveva un’interpretazione alchemica.

Medicina sperimentale

C’era, tuttavia, una distinzione fondamentale. Gli iatrochimici sostenevano di essere guidati dall’esperienza, non dalla tradizione: usavano un farmaco perché era efficace, non perché Galeno lo aveva raccomandato. Alcuni paracelsiani certamente leggono Paracelso come una fonte di dogma imperativo quanto Galeno; ma gradualmente l’esperienza ha prevalso. Il filosofo Francis da Bacone, che non apprezzava le arroganti certezze di Paracelso, incluse comunque la medicina chimica nella sua visione di una scienza basata sulla sperimentazione critica.

Le posizioni sulle origini alchemiche della chimica e della medicina sono oggi un po’ più elaborate e sfumate. Separare il grano dalla pula non è certo facile. Ma questo processo di separazione e di purificazione è dopotutto, secondo Paracelso, il cuore stesso dell’attività dell’alchimista.

Liberamente adattato da un articolo scritto da Philippe Ball per la rivista “La Recherche” del 1 Febbraio 2008, n°416