Il Monte delle Stelle culmina in un luogo sconcertante, incastonato tra gli immensi nevai della montagna.
È raggiungibile solo a piedi, dopo tre giorni di interminabile ferrata sul costone del ghiacciaio, e solo a condizione che si sia amati dagli spiriti. Qui, dove le raffiche di vento si fermano solo pochi giorni all’anno, si ritiene che chi sale sul Monte accompagnato dal Sole sia un essere benedetto.
Il nome della mia guida è M’wok. È muto come il paesaggio bianco, che attraversiamo senza mai scambiare una parola. Il suo strano mantello da montanaro è decorato da perle bianche e opalescenti che lo fanno risplendere sul ghiacciaio. Lapidario, mi spiega che è per confondersi nel paesaggio. Dice la verità. Iridescente e pallido come la neve, più volte l’ho perso di vista. Gli ho chiesto se l’ordine delle perle sui fili avesse un significato particolare, ma non si è degnato di girare la testa e nemmeno di rispondermi.
La scalata della parete est, l’unica praticabile secondo quanto si dice, è diventata davvero difficile dopo la trentesima ora. Imbozzolati nel cordame, ci siamo arrampicati con la forza delle braccia e delle dita dei piedi su una parete verticale piena di ghiaccio. Se i nostri ramponi dovessero cedere, non avremmo alcuna speranza di tornare. Ci sono delle corde libere che ci pendono accanto. Hanno portato in salvo i nostri predecessori? Come facciamo a saperlo? Il loro intreccio rudimentale intrappola il gelo sulla montagna e la fa sembrare una grande medusa che ha scelto il cielo come oceano.
Mi sono sorpreso a chiedermi come sarebbe stato morire lì, a 4789 piedi da terra, appeso a un filo nella purezza assoluta di un luogo sacro e pericoloso. Invidiavo i fiocchi di neve che passano la loro fragile esistenza a galleggiare intorno al Monte senza temere la propria scomparsa. Fa così freddo. Forse alcuni di loro sono qui fin dall’inizio del mondo.
L’ultima ora di cammino mi è sembrata un lungo sogno. Abbiamo strisciato come granchi attraverso una gola di ghiaccio, con la neve fino alle ginocchia, la parete traslucida all’altezza del gomito. Non si udiva un suono. Non un sussurro. Tutto quello che potevo sentire era il lontano scricchiolio della neve nel cuore della parete ghiacciata. Ogni passo che facevamo sembrava rimbombare nel crepaccio e poi riecheggiare più in profondità.
Durante la nostra ultima pausa, mi sono perso nella contemplazione del blu quasi irreale del ghiacciaio. Mi mancano le parole. Il nostro linguaggio è incapace di trascrivere certe emozioni. Cielo e mare si sono fusi davanti ai miei occhi come se l’acqua dell’intero universo avesse preso qui la sua sorgente.
M’wok mi ha riscosso da quella riflessione senza alcuna dolcezza. Alla fine della gola siamo usciti nell’aria traslucida e dolorosamente pura, su un piccolo promontorio. Il cielo ci ha dominato con il suo immenso azzurro. E ai miei piedi, nella tranquillità assoluta del Monte delle Stelle, ho visto le centinaia di piscine della Terrazza degli Orizzonti Infiniti.
La leggenda vuole che sia stato il possesso di questo luogo a scatenare la Guerra del Monte delle Stelle. La gente qui non ne parla, ma non nega nemmeno la voce. È comprensibile.
Si dice che in questo luogo alla soglia del mondo verticale, ciascuna delle polle contenga il futuro di un uomo. Chi trova il proprio tra tutti gli altri prima dello zenit della luna vedrà il tempo si dispiegarsi davanti a sé nell’acqua gelida.
La vertigine afferra il cuore di chi guarda più di quanto non possa fare l’altitudine. Può la montagna intrappolare il destino degli eletti in questa miriade di vasche immacolate? Ci asteniamo dal respirare, per paura di macchiare per sempre questo santuario naturale e di pervertirne la magia. Guardo le mie mani, tagliate dal congelamento o dallo stato pietoso dei nostri strumenti. Il mio occhio teme di atterrare altrove che sull’imperfezione umana.
M’wok grugnisce. La mia estasi lo mette a disagio. Non sono di queste parti. Non riesco a capire cosa significhi davvero questo posto. L’emozione che mi circonda è quasi blasfema. Ma l’opinione della mia guida conta poco per me.
Quale di queste polle di neve è la mia? Da quando sono arrivato qui, si dice, il mio futuro dorme nel fondo di una delle vasche. Come fare a riconoscere la superficie destinata a me? Cerco di interrogare M’wok, ma lui fa finta di non sentire il mio pessimo dialetto. Mi trafigge con i suoi scortesi occhi d’argento.
La mia attenzione salta di pozzo in pozzo. Cerco un segno, un marchio, un simbolo. Qualsiasi cosa che possa indicarmi la scelta giusta. È questo, il cui rilievo disegna linee delicate? O questo, con i suoi riflessi grigio perla?
Non posso lasciare il promontorio finché non decido dove la mia guida dovrà srotolare la sua scala di corda. Sarebbe un sacrilegio.
Già il cielo si tinge di un rosa evanescente.
La notte ricopre infine il cielo, a una velocità inaspettata. Il blu del ghiacciaio sfuma nel viola del buio. Non ho ancora scelto e prendere un pozzo a caso è blasfemia.
I cieli tranquilli della notte sono una meraviglia da vedere. Se non fossi stato un mitologo, avrei voluto fare l’astronomo. In un certo senso, queste due vocazioni si basano sulla stessa intuizione. La stessa aspirazione all’infinito. Alla suprema poesia dell’infinito.
Ecco che le centinaia di polle si riempiono all’improvviso di stelle, come se la notte stessa si riversasse nell’acqua. Le costellazioni sono appena disturbate dalle increspature della brezza che scende silenziosa verso il mondo degli uomini.
Questa è Koi e le sue stelle gemelle. Quella, Mirabilis con gli astri più luminosi. Sveglio M’wok che si era appisolato contro la parete della gola. Con il dito gli mostro dove voglio che tenda la sua scala della fortuna.
Non so se ho scelto bene. Forse ho sprecato il mio unico tentativo. Ma la polla che ho avvistato, nella magia del tramonto, ora mi attira come un faro.
[…]
La Terrazza degli Orizzonti Infiniti. Racconto di una scalata del Monte delle Stelle, dell’alchimista e mitologo Aymrik dalle Coste d’Ambra.