L’Abbazia di Ostro

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Fondata esattamente 329 anni fa dalla rettrice Narbelia da Ostro, l’abbazia sorveglia tutto il Grande Delta settentrionale. La Forca Spezzata, che permette di accedere al complesso passando da sud, si apre sulla via per Eskir di Ponente.

La posizione dell’abbazia è ideale, perché tutta una parete della sua architettura austera si affaccia direttamente sul vuoto. L’altro lato si trova contro il fianco di un vulcano ormai estinto, il cui terreno, saturo di ceneri, produce un ottimo pascolo. Il complesso è stato anche il primo a beneficiare del lavoro dell’urbanista Sirvain da Chargui, noto per il suo metodico sviluppo del Grande Delta. La creazione dell’immensa e profonda valle di Ostro, che prende il nome dalla rettrice dell’abbazia, ha trasformato un’antica e monotona pianura in una regione dinamica e prospera.

L’edificio più famoso è probabilmente la Basilica del Picco, che offre una vista unica sulla regione ventosa di Ostro. Anche se questo luogo attira molti visitatori, molti edifici nei dintorni rimangono sconosciuti e sfuggono all’afflusso di curiosi. I pellegrini sono quindi più propensi a soggiornare nella pace e nella tranquillità del terreno adiacente alla basilica.

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L’abbazia, infatti, non si limita ad accogliere i turisti, anche se ha progettato un percorso apposito per loro, al fine di guidarne gli spostamenti e preservare l’intimità dei suoi ospiti. Ostro, per qualche motivo sconosciuto, è un luogo di pellegrinaggio per chiunque pianga la perdita di una persona cara. Alcuni monaci sono in lutto perenne: i Lacrimosi, che piangono in memoria dei caduti. Costoro infliggono a se stessi la punizione per i dolori dell’umanità, per risparmiarla ai propri simili. Sono loro che si occupano delle grandi campane di vetro delle torri dell’abbazia. Due volte al giorno, accompagnati da giovani novizi che portano l’acqua, la fanno passare sulle campane prima di asciugarla lentamente. Questo rituale, che simboleggia l’addio ai morti, produce una caratteristica vibrazione delle campane che ricorda un lungo lamento.

All’inizio di ogni autunno, l’abbazia è il luogo di un’altra celebrazione molto famosa nel Mondo Tutt’Intorno: il giorno delle fumate è una festa che richiama una folla ogni anno più numerosa. In questa occasione, i monaci bruciano tonnellate di legno di cinabro, famoso per l’odore pungente della sua linfa e per il fumo bianco e denso che produce. Così, per tutta la giornata, l’abbazia è immersa in una vera e propria nube di incenso che sale fino alla cima del vulcano. Durante la festa, i mercanti offrono sacchetti di cenere di cinabro, agrumi amari e acqua sulfurea dalle virtù terapeutiche. Le campane di vetro risuonano costantemente e tutta l’atmosfera è favorevole a uno stato di trance di cui poeti e romanzieri hanno dato descrizioni struggenti.

Un’altra curiosità del luogo attira gli esploratori per il resto dell’anno. Si tratta delle famose vene di luce che percorrono le pietre delle fondamenta sepolte della basilica. Vi si accede attraverso le gallerie e solo con il permesso del rettore. Numerose opere, come quelle di Jezebel da Eskir, hanno affrontato questa curiosità della natura. La pietra delle fondamenta mostra crepe blu latteo che iniziano a brillare al calar della notte. Il fenomeno rivela incandescenze nel cuore della pietra che i geologi hanno chiamato “nebulose”. L’occhio potrebbe paragonare lo scintillio delle vene a un cielo stellato.

Il processo sembra seguire un complesso sistema di temperature e vibrazioni, ma sono molte le storie che circolano tra i pellegrini per spiegare l’esistenza delle pietre di luce. In alcune storie, è legata alla tragica morte di un antico re che un tempo regnava sul vulcano.

L’esploratore troverà a Ostro una sosta tranquilla (basta evitare l’inizio dell’estate quando i venti monsonici scatenano temporali particolarmente pericolosi e spettacolari. Aspettando invece il loro arrivo a Eskir di Ponente, saprà che la valle di Ostro è di nuovo limpida) e potrà apprezzare la semplice e sincera ospitalità dei suoi abitanti. Può cogliere l’occasione per scoprire l’erboristeria dei monaci e acquistare alcuni formaggi locali, persino provare a scalare il vulcano se il panorama eccezionale lo attira abbastanza per sopportare quattro ore di arrampicata nei vapori cinerei. Un passaggio attraverso i pascoli di montagna permetterà anche di osservare la pecora cumulo, la cui lana pura e sottile è l’orgoglio dell’abbazia. Attenzione, però, le mandrie sono accompagnate da raffiche di vento e la loro vicinanza significa sempre burrasche improvvise.

Estratto dalla Guida alle grandi mete ventose, scritta da Güs vun Austru e Mirabilis la Bianca. Edizioni Eoliche.